Zoom – Carmen Palermo

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on mar 7, 14 • by • with Commenti disabilitati su Zoom – Carmen Palermo

L’autoscatto come mezzo per raccontarsi. La polaroid come campo da scoprire attraverso una continua ricerca. Scopriamo il lavoro di Carmen Palermo, giovane fotografa fondatrice del network degli artisti “instant” italiani Polaroiders.

paroleAC: Quando hai scoperto la passione per la fotografia?

CP: L’interesse per la fotografia c’è sin da quando andavo alle elementari e potevo usare la macchina fotografica nelle gite scolastiche, ma è diventata vera e propria passione con l’acquisto della mia prima fotocamera digitale e un viaggio a Santiago de Compostela in Spagna.

AC: Da cosa nasce l’esigenza di essere il soggetto dei propri scatti?

CP: L’esigenza di auto-ritrarmi è mutata nel tempo, o forse dovrei dire si è evoluta.
I primi autoritratti risalgono ai tempi delle superiori, a 17 anni mi sentivo emarginata e non comparivo mai nelle classiche foto tra compagni e amici, così semplicemente volevo essere fotografata anche io ed ero l’unica che poteva farlo o forse con cui non mi imbarazzavo.
medusaPer molti anni è stato solo questo, un modo per avere un ricordo di me, poi nel 2006 – in un periodo in cui provavo una sofferenza che non riuscivo a metabolizzare – un giorno ho cominciato a fotografarmi scattando una foto dietro l’altra smettendo solo quando mi sono sentita finalmente “liberata” dal groviglio che sentivo nello stomaco: da quel momento ho intuito che auto-ritrarmi mi avrebbe aiutato in qualche modo a “esorcizzare” i miei malesseri e raccontare anche altro di me, cosa che non sono mai riuscita a fare con le parole ma di cui ho sempre sentito l’esigenza.

l'anima è bluAC: Ti ispiri a qualche autore in particolare?

CP: Il mio approccio alla fotografia è stato sempre molto istintivo e solo negli ultimi anni ho finalmente scoperto e apprezzato la storia della fotografia. Non so se posso dire di ispirarmi a qualche autore in particolare, ma sicuramente ci sono fotografi che mi hanno colpito allo stomaco e di cui apprezzo qualcosa che vorrei essere in grado di portare, più che nelle mie foto, nel mio approccio alla fotografia.
Di Francesca Woodman sento il “dolore” e quello che apprezzo di lei maggiormente è come sapesse “fare ricerca”; mi affascina il modo in cui indagava lo spazio e lo connetteva al sé più profondo utilizzando il suo corpo e, ancora, trovo affascinante come l’auto-ritrarsi diventasse una vera e propria esperienza. In una sua retrospettiva di qualche anno fa a Siena c’era la proiezione in loop di un video girato da un’amica della Woodman mentre questa (si) scattava: è un video in cui scopri che preparava tutto in religioso silenzio e ogni suo movimento, ancora prima dello scatto, è Arte. Di Jan Saudek amo la ricerca della bellezza attraverso l’esasperazione del reale che diventa quasi grottesco, di Weston la sensualità delle forme, di Roversi la delicatezza e l’eleganza, di Newton il perfezionismo, di Man Ray tutta la sua sperimentazione.

ofeliaAC: Come mai la scelta della polaroid? Quali sono le difficoltà e le possibilità offerte da questo mezzo?

CP: La polaroid è stato per anni un oggetto del desiderio: è stata la macchina con cui sono state scattate tutte le foto della mia infanzia e che poi, inutilizzata, è stata chiusa in un armadio. Per anni ho pensato che prima o poi l’avrei riportata in vita, così quando finalmente ho iniziato ad usarla con tanta curiosità e continuità, ho capito che sarebbe diventata parte attiva delle mie esperienze. La polaroid racchiude in sé tante caratteristiche e forse tante contraddizioni. La Polaroid, intesa come fotocamera, è un mezzo nato per essere “semplice” e di facile uso (“point and shoot” dicevano gli spot): a parte alcuni modelli più professionali, hanno tutte un diaframma fisso e un sensore che a seconda della luce decide i tempi di scatto; “modificare” il comportamento della macchina con degli escamotage diventa una sfida e parte integrante dell’esperienza pre-scatto che mi piace sperimentare. Di questa “esperienza pre-scatto” fanno parte anche il superare le difficoltà che si incontrano scattando auto-ritratti con queste macchine le quali, a volte non hanno lo scatto ritardato o se l’hanno è abbastanza inclemente (di solito si parla di 10 secondi per prendere posizione), a volte non hanno l’attacco per il cavalletto e altre ancora si inceppano (sono tutte macchine di una certa età) proprio quando pensi che avresti fatto la foto perfetta (anche se sappiamo bene che questa non esiste). Scattare in polaroid è quasi crudele e vicino a quello che è la vita: considerando il costo delle pellicole si hanno poche occasioni e pochissimo margine di errore; quando si decide di portare in pellicola un’immagine che si ha nella propria testa la foto che ne esce ha valore in quanto “unico momento possibile” che, con tutte le sue imperfezioni, a volte riesce ad essere il “momento perfetto” per me che decido di mostrare anche agli altri. Infine c’è il supporto: la pellicola caratterizza fortemente l’immagine finale nei toni e nella resa e quindi è necessaria una scelta a priori per ottimizzare il risultato e di conseguenza richiede uno sforzo per aumentare la consapevolezza di quello che si sta per fare. Altro aspetto per me molto importante è che la pellicola ha una sua dimensione e densità che permette di “toccarla con mano” fin da subito (senza “filtri” dovuti al tempo di sviluppo in camera oscura per la pellicola tradizionale o i passaggi per il trasferimento su pc e lo sviluppo in camera chiara per i supporti digitali) inoltre, per le sue caratteristiche chimico-fisiche permette di poter intervenire su di essa “manualmente” e “artigianalmente” e questo mi regala la possibilità di dialogare con la me stessa ritratta: è la mia personalissima auto-analisi.

Fortunae MusaeAC: Parlando dei tuoi lavori passati, quale ti ha entusiasmato di più e in quale ti identifichi maggiormente?

CP: È difficile rispondere perché ognuno di essi è legato fortemente a un momento per me importante, ma posso parlare dei lavori che sono per me cardini importanti del mio percorso.
Tra questi vorrei citare “Musae”, un progetto a quattro mani con Alan Marcheselli che, oltre a dare il via alla nostre collaborazioni, è stato il momento in cui ho imparato a pensare anche in modo progettuale, “Io, tu e le rose”, che è il momento in cui ho sperimentato l’impellenza di auto-ritrarmi per esorcizzare un momento negativo e infine “L’anima è blu”, una serie di lunghe esposizioni realizzate con foro stenopeico

AC: Hai accennato alla tua collaborazione con Alan Marcheseli, a tal proposito parlaci di Polaroiders, la web community fondata con lui.

CP: Polaroiders nasce nel 2010 da un’idea di Alan Marcheselli in cui ho creduto fin da subito sposandola totalmente: volevamo dare una casa “virtuale” agli appassionati di fotografia a sviluppo istantaneo, un luogo dove potersi incontrare, confrontare e poter condividere una passione comune, cercando però di creare eventi concreti affinché tutto questo potesse vivere anche nel mondo “reale” e potesse promuovere concretamente il lavoro di tanti emergenti italiani che spesso nel circuito tradizionale dell’arte sono sottovalutati. Ad oggi Polaroiders.it ospita quasi 2.000 iscritti e più di 25.000 fotografie e ha all’attivo una cinquantina di eventi e mostre sia in Italia che all’estero e due Festival di Fotografia Istantanea.

AC: A quali progetti stai lavorando in questo momento?

CP: Prossimamente inizierò a sperimentare la lunga esposizione con il foro stenopeico e la pellicola 8×10 di Impossible (la nuova azienda che dopo il fallimento di Polaroid, nel 2008 ha rilevato l’ultimo stabilimento rimasto in Europa ricominciando la produzione delle pellicole a sviluppo istantaneo), ma il progetto ancora non è ben definito nella mia testa e ancora non è arrivata quella necessità impellente che mi porta a cominciare a scattare.

AC: In che cosa ti senti “almost”?

CP: Mi sento “almost” in tante cose, ma principalmente “almost” è la condizione in cui mi trovo quando sento poi il bisogno di scattare, è quella percezione indefinita che cerco definire, quel che vorrei dire ma che rimane inespresso finché non mi metto di fronte alla macchina fotografica.

il sonno - carmen palermotu io e le rose

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