Lui chi è?? – Silvia Iorio

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Silvia Iorio, classe 1977, è artista italiana attiva sulla scena internazionale sin dai primi anni Duemila. Peculiare nel processo della sua ricerca visiva è l’introduzione di un linguaggio estetico-scientifico che trae origine dagli studi universitari in Biologia Molecolare. Come una formula scientifica che tenti di descrivere un fenomeno naturale possiede sempre al proprio interno una variabile incognita, così il lavoro di Silvia Iorio, pur prendendo avvio da una metodica indagine di natura scientifica incentrata sulle categorie universali dello Spazio e del Tempo, rende l’elemento casuale il vero protagonista ultimo della sua Opera. All’interno di tale linguaggio – fisico/matematico, verbale/letterario, chimico/genetico – l’artista recupera e rinnova l’elemento cromatico della sequenza luminosa dello spettro ottico, quale cifra stilistica ricorrente nelle proprie opere e concettualmente coerente al loro contenuto – ma in versione mai identica, sempre nuova.
Atelier (2001-2003) lo skyline dell’ambiente di lavoro di Silvia, può essere considerato l’origine della sua ricerca sul caso, il caos, l’errore e il paradosso. In un luogo ai limiti dell’atmosfera, senza alcun riferimento spazio-temporale, le ampolle, disposte in ordine decrescente, contengono dadi ordinati cromaticamente in ordine crescente. L’ordine dei recipienti segue la successione cromatica dello spettro, ma è il caso il vero protagonista. Il caso rende attiva la ricerca, ma allo stesso tempo la influenza e controlla: i recipienti sono trasparenti per lasciar vedere, ma capovolti per non lasciar sfuggire. La possibilità dunque è sotto vetro come in un esperimento in divenire.
Nella prima metà degli anni duemila Silvia lavora sulla sperimentazione scientifica quale esperienza di controllo e sovversione dell’errore e del caso. Paesaggio Virale (2005) è una lunga serie di tele dipinte con macroscopico realismo, atte a rivelare tutti gli elementi microscopici naturali e rigorosamente geometrici di particolari virus oculari che inficiano la visione (la vista). Trattando un tema fondamentale per l’Arte e l’Estetica – ovvero l’universo della Visione – tale ciclo di opere invita a una riflessione sul circuito biologico di “contaminazione, morte e rigenerazione”. Ciascuna tela, infatti, è stata dipinta utilizzando acrilici e virus coltivati su albumina: il virus rimane attivo sulla tela per 40 giorni; una volta debellato, l’opera diviene unicamente materia pittorica stabile, inerente la vista, passata a nuova vita.
Dal 2007 note, paradossi e colori invadono e pervadono l’orizzonte creativo di Silvia Iorio. Con il Cubo di Rubik Silvia presenta un’opera straordinariamente poliedrica e dall’aspetto musivo – grazie all’intersezione delle tessere policrome. I piccoli riquadri del rompicapo matematico sono concepiti come un pentagramma sul quale poter incidere una partitura per sei strumenti (glockenspiel, glassharmonica, vibrafono, celesta, arpa, pianoforte) uno per ogni faccia del cubo. Quando ogni colore primario va a comporre il proprio lato monocromatico la partitura presenta una struttura eseguibile in modo lineare, mentre il cubo scomposto da vita ad una melodia, che ha a disposizione 43.252.003.274.489.856.000 di combinazioni di note possibili. Mentre sul Nastro di Möbius è incisa una una melodia “non orientabile” per pianoforte. Del nastro, del non-colore indaco, esiste un solo lato e un solo bordo; in geometria questo genere di superficie viene definita non orientabile, perché è impossibile attribuirle un orientamento (lato superiore e inferiore). Così ciò che è definito paradosso nella forma genera grazie alle note un suono perfetto che evoca l’infinito.
E cos’è il rumore se non un suono? Considerato per definizione un segnale casuale, il rumore può essere in realtà formalizzato grazie all’utilizzo di modelli matematici. Da questo assunto prende vita al dittico Color Noises (2008), partiture cromatiche dove il rumore acquista forma. In campo scientifico, il nome di queste tipologie di rumore (color noises) deriva da un’analogia tra le frequenze dello spettro della luce e quelle dell’onda sonora, cioè se andassimo a tradurre l’onda sonora blu in onda luminosa, ad esempio, il colore risultante sarebbe il blu. Con questo lavoro Silvia da vita al non visibile e al non udibile, sfondando le barriere della percezione umana e aprendo la porta ad una possibilità percettiva altra.
La corrispondenza tra Arte e Scienza è senza alcun dubbio il perno di tutta la ricerca artistica compiuta da Silvia Iorio. E’ stato dunque quasi inevitabile, dopo aver indagato l’infinitamente piccolo, volgere lo sguardo all’infinitamente grande, alla dimensione dove caos, caso e paradosso danzano dando vita al più grande mistero percettivo umano: l’Universo.
La ricerca di Silvia, in tal senso, inizia da Vuoto atteso (2005), una panca plasmata sulla forma ideale del Buco Nero, concepita come un pensatoio celeste, una pausa materiale dove poter immaginare l’immateriale: pensandolo oltre o attraverso. Stando seduti sul “vuoto atteso” è possibile contemplare l’orizzonte degli eventi, il limite ultimo della conoscenza umana prima di essere inghiottiti nel buco. Il Buco Nero, una gola, un tunnel nell’universo in grado di congiungere due luoghi lontanissimi dello Spazio-Tempo, un emblema di semplicità e austera geometria all’esterno, il più grande Caos che l’universo conosca al proprio interno. Nel maggio 2010 in occasione della mostra Sorry, We Are Open! alla London Metropolitan University, Silvia Iorio ha esposto per la prima volta Odysseia. Il progetto (Londra 2010, Berlino 2011, Roma 2012) indagava l’inter-connessione tra eventi reali non esperibili simultaneamente: la sera dell’opening londinese, i visitatori sono stati invitati a premere alcuni interruttori della luce collocati su una parete composta da centinaia di interruttori di differenti cromie. Il pubblico ha messo così in moto una serie di impulsi elettromagnetici, che come milioni di Armstrong hanno compiuto per noi una passeggiata nell’Universo e – compiuto il viaggio concettuale di un anno nello spazio – sono arrivati sulla Terra sotto forma di totem luminosi, negli spazi della Galerie Mario Iannelli di Berlin, nel maggio del 2011, accendendosi nell’esatta sequenza in cui erano stati attivati un anno prima. Nel maggio 2012 il grande viaggio della Luce nello Spazio e nel Tempo di Odysseia ha fatto tappa a Roma, e gli ambienti espositivi si sono trasformati in un centro di osservazione astronomica, dove è stato possibile entrare in comunicazione con l’espandersi dello Spazio siderale. La mostra Expanding on Expansion of the Universe, presso la galleria Il Segno, ha ospitato Infinitum (2012), otto carte e uno specchio, sintesi grafica degli otto minuti che un raggio di Sole impiega ad arrivare sulla Terra; la seria Charta (2012), carte blu monocrome dove è possibile ammirare l’Universo primigenio; e Alea (2012), la serie si sculture olografiche, che suggeriscono un’origine immateriale ed intangibile dell’Universo attraverso l’uso di meteoriti, considerati da Silvia “dadi astrali”.

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